«Per ora la diffusione del Covid-19 è moderata, ma si prospetta la catastrofe», «Un’impennata dei contagi darebbe la spallata finale al continente», «Quello che più si temeva è accaduto: l’Africa è stata contagiata», «Waiting for the Storm». Questi sono solo alcuni dei titoli che si potevano leggere, tra marzo e aprile, nei più importanti quotidiani internazionali sull’arrivo del Covid-19 in Africa, seguiti da previsioni numericamente disastrose e da una crescita esponenziale dei contagi data come sempre più imminente.
Il Covid-19 in Africa: espansione a bassa intensità
I dati ufficiali, anche a qualche mese di distanza, raccontano però qualcosa di diverso: con il primo caso accertato in Egitto a febbraio, a oggi (28 settembre – qui i dati) si contano 1.450.885 contagiati, 35.407 morti, 1.200.417 guariti. Numeri importanti, certo, ma lontani da quelli pronosticati e da quelli degli altri continenti. Se sul numero dei contagi è legittimo avere dei dubbi visto il basso numero di tamponi in tutto il continente, su quello delle morti sarebbe molto più complicato farsi sfuggire un eventuale picco di quelle legate al virus. Inoltre il sovraccarico delle strutture sanitarie si è verificato solo in luoghi e momenti particolari (in Sud Africa e in Kenya in particolar modo). Quello che possiamo affermare a oggi è che l’espansione del Covid-19 in Africa è costante ma a bassa intensità.
Sarebbe un grave errore sottovalutare i limiti e le fragilità sistemiche, non solo sanitarie, dei diversi paesi che si troverebbero in estrema emergenza qualora dovessero affrontare l’intensità dei focolai che hanno colpito prima la Cina, poi l’Europa, gli Stati Uniti e gran parte del Sud America. Tuttavia a oggi questo non è accaduto, ed anzi il virus viene dato in regressione. Se è ancora troppo presto per individuare con certezza tutte le variabili che stanno influenzando le diverse traiettorie di diffusione dei contagi (sembra che il clima caldo e umido abbia un ruolo fondamentale nel rallentarne la crescita), può essere utile commentare alcuni provvedimenti governativi in un paese dell’Africa Occidentale, il Ghana.
Il Ghana mette in campo l’esperienza fatta contro Ebola
I diversi governi hanno adottato con grande reattività misure per evitare il diffondersi del contagio, ma anche a livello civile la risposta è stata diffusa e immediata, avendo fatto tesoro anche delle strategie utilizzate per sconfiggere l’Ebola. In Ghana (paese dove mi trovavo durante quelli che in Italia sono stati i mesi più duri dallo scoppio della pandemia) il governo ha chiuso i confini di terra, di mare e di aria fin dai primi contagi certificati, confini che sono stati riaperti solo il primo settembre e con importanti limitazioni ai flussi di persone che entrano ed escono dal paese. Sono state chiuse le scuole, vietati gli assembramenti religiosi e poste le città più grandi, Accra e Kumasi, sotto lockdown, vietando anche gli spostamenti da una di queste città all’altra. Inoltre, fin dall’annuncio dei primi contagi, una tanica d’acqua con rubinetto e un sapone sono stati messi all’uscio di qualsiasi attività commerciale e un numero più che sufficiente di mascherine di stoffa, realizzate con gli avanzi della stoffa usata per fabbricare vestiti, si trova con grande facilità ai lati e agli angoli delle strade.
In molti si sono soffermati, a ragione, sulla difficoltà di utilizzare strumenti di contenimento del virus come il lockdown e il distanziamento fisico descrivendo le condizioni di sovraffollamento e scarsità d’acqua negli slum di Accra, condizioni che, seppur di estrema rilevanza, rappresentano una fetta molto particolare del panorama ghanese. Tenendo a mente la validità di questi contributi, proveremo a commentare l’estrema difficoltà nell’adottare misure come lockdown e distanziamento fisico in un contesto più “ordinario”, attraverso la realtà di Tamale, capitale della Northern Region del Ghana e una delle città più dinamiche dell’Africa Occidentale. Nell’intera Northern Region sono stati registrati per ora 547 casi e le misure governative adottate sono state il divieto di assembramenti religiosi e sportivi e l’obbligo di distanziamento fisico, mentre si è deciso di non attuare un lockdown totale visto il basso numero di contagi.
Il distanziamento a Tamale: il nodo del commercio informale
Tamale è una realtà urbana che ha vissuto una crescita costante ma non elevata, fino agli anni Ottanta, quando gli aggiustamenti strutturali imposti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale hanno deregolamentato ampie fette di mercato e incoraggiato l’espansione del settore informale e privato, creando nuovi posti di lavoro. Inoltre la ristrutturazione e sviluppo della strada Kumasi-Tamale-Bolgatanga ha permesso un considerevole aumento del traffico dei camion, facendo di Tamale uno dei più importanti, se non il più importante, centri di distribuzione del Nord del Ghana. La popolazione, fino a quegli anni prevalentemente agricola (intorno al 70%) e interessata da una costante migrazione verso Accra e Kumasi, ora ha uno dei più alti tassi di crescita demografica del paese ed è prevalentemente impiegata nel settore informale (nel report nazionale sul censo del 2010 si parla dell’81%).
Per quanto riguarda il distanziamento fisico, la nota positiva è che ci sono “ampi” spazi tra un’abitazione e l’altra, i palazzi con appartamenti coprono appena l’1% e anche in quei quartieri dove l’acqua corrente e l’elettricità vanno e vengono manca la variabile della sovrappopolazione a rendere la situazione esplosiva. In poche parole, la popolazione è ben distribuita in città e i compound, strutture abitative che ne caratterizzano il panorama, fungono già da strumenti di isolamento. Tuttavia Tamale, come molte altre città africane, ha nel mercato centrale il cuore pulsante della propria economia quotidiana. Centinaia di persone vengono dai villaggi limitrofi per vendere e comprare beni di prima necessità e il mercato, oltre alle strade limitrofe, è l’unico luogo dove è possibile acquistare frutta, verdura, carne e pesce. Nessuno dei numerosi minimarket ha disponibilità di questi prodotti basici. Insomma, tutti sono costretti a passare per il mercato, luogo sempre affollato e caratterizzato da spazi stretti che rendono impossibile non accalcarsi. Le autorità hanno chiuso un solo giorno il mercato per igienizzarne strade e le strutture, ma da quello successivo è tornato ad essere brulicante come se la pandemia non esistesse. La diffusione del settore informale fa sì che sia difficile organizzare il mercato altrimenti, e incolpare le persone di scarso senso civico non cambierebbe le cose. Vale la pena chiedersi come organizzare un lockdown di uno o due mesi per un’ampia maggioranza di soggetti che «riescono a evitare il peggio solo attraverso un continuo processo di improvvisazione flessibile», con entrate imprevedibili e incassate giorno per giorno. Gli ammortizzatori sociali previsti dal governo sono insufficienti e la condizione appena esposta porta dunque un numero rilevante di persone a dover scegliere tra il rischio di contrarre il Covid-19 e la certezza di non procurarsi i mezzi materiali per affrontare le spese quotidiane imprescindibili.
Per comprendere alcune criticità della situazione in Africa, perciò, è necessario volgere lo sguardo ai provvedimenti presi, tanto dal governo quanto dalla società civile, per affrontare il Covid-19, per arrivare a comprendere non solo gli atteggiamenti e le asimmetriche posizioni nei confronti di questo particolare evento, ma anche condizioni politiche, economiche e sociali che influenzavano la quotidianità dei cittadini ghanesi già prima dell’entrata in scena della pandemia.